Le parole di Cesc Fabregas, tecnico del Como, risuonano come un monito: "Non rinuncio mai ai miei principi. Se devo perdere, perdo con la mia idea, con il mio stile, con il mio modello, con le mie convinzioni". Parole che, ascoltate da Salerno, assumono il sapore amaro di un'occasione perduta, di una stagione che poteva e doveva andare diversamente.
La Salernitana di questa stagione è l'emblema perfetto di ciò che Fabregas detesta: squadra relegata ai playout contro un'altra neodeclassata, la Sampdoria, dopo un campionato vissuto sempre in bilico tra paura e speranza. Eppure, quando finalmente il coraggio ha trovato spazio in panchina, è arrivato troppo tardi.
L'arrivo di Pasquale Marino, subentrato a Roberto Breda a sei giornate dal termine della regular season, ha rappresentato l'ennesimo cambio di rotta di una società disorientata. Il tourbillon di allenatori e direttori sportivi della Salernitana dall'inizio dell'era Iervolino fotografa perfettamente l'instabilità che ha caratterizzato il club granata.
Ma c'è una differenza sostanziale tra i precedenti avvicendamenti e questo ultimo: Marino ha portato personalità, coraggio, la voglia di rischiare per vincere. Quello stesso coraggio che Fabregas rivendica come filosofia di vita calcistica, quando dice: "Preferisco perdere 3-0, ma almeno ci abbiamo provato con le nostre idee, con la nostra identità".
La Salernitana aveva bisogno di questo approccio sin dall'inizio della stagione. Invece, le titubanze, le timidezze, l'atteggiamento difensivista che ha caratterizzato gran parte del campionato granata hanno minato l'autostima di un gruppo che aveva potenzialità inespresse. Come sottolinea lo stesso Fabregas: "Odio quando ho preso una decisione un po' più difensiva, che non sentivo mia. Abbiamo perso quella partita, e sono tornato a casa distrutto".
Questa è esattamente la sensazione che si prova ripensando alla stagione della Salernitana: la distruzione di chi sa di aver tradito le proprie potenzialità, di aver scelto la strada più facile ma meno efficace. Se il cambio di mentalità fosse arrivato prima, se la società avesse avuto il coraggio di puntare prima su un calcio propositivo, oggi non si parlerebbe di playout farlocchi ma di una squadra già all'opera per rinforzarsi in vista della prossima stagione.
Il paradosso è che quando finalmente è arrivato il coraggio, i risultati si sono visti. La vittoria corsara della Salernitana a Cittadella con un pesantissimo 0-2 ha dimostrato cosa può fare questa squadra quando gioca senza paura, quando smette di limitarsi a contenere e inizia a esprimere il proprio gioco.
La lezione che arriva da Como è chiara: nel calcio chi non risica non rosica. Fabregas ha costruito la sua filosofia su questa certezza, portando il Como a risultati impensabili fino a pochi anni fa. La Salernitana, invece, ha scelto troppo spesso la strada della prudenza, dimenticando che nel calcio moderno chi non attacca finisce inevitabilmente per essere attaccato.
Ora i granata si giocano tutto nei playout, in una doppia sfida che sa di ultimo appello. Ma anche qui, è emersa la prudenza della Salernitana davanti al "papocchio" della Lega Serie B che ha rinviato i playout a data da destinarsi nell'immediata vigilia per una presunta penalizzazione al Brescia. La società granata ha presentato un timido ricorso poi rigettato dal Collegio di garanzia. Altre società avrebbero alzato la voce con forza, denunciando pubblicamente l'inaccettabile gestione di una situazione che ha creato incertezza e danno d'immagine. La Salernitana, invece, ha scelto anche stavolta la via più formale e meno incisiva.
L'amarezza resta: se il coraggio fosse arrivato prima, se la società avesse avuto la forza di cambiare rotta quando ancora c'era tempo - sia in campo che nelle stanze dei bottoni - oggi la Salernitana guarderebbe al futuro con ben altre prospettive. Invece, resta solo il rimpianto di una stagione che poteva essere diversa, molto diversa.
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